Queste parole possono sembrare ipercritiche nei confronti del digitale, in realtà però non è questo il messaggio che voglio comunicare. Tutt’altro. Sono ben consapevole dei pregi della nuova tecnologia e non voglio affatto smentire l’opinione che rilasciai a questa stessa rivista pubblicata nel numero di febbraio 2003, nell’ambito di un articolo dedicato all’Africa, tuttavia ritengo che nel mondo della fotografia naturalistica e di reportage di viaggio il digitale non sia all’altezza del compito, e non per un preconcetto, ma semplicemente perché le infinite sfumature dei colori della natura sono meglio e fedelmente registrabili dalla pellicola piuttosto che dai pixel, basti pensare al vecchio Kodachrom 25 o alla recentissima Fuji Velvia 100 F.

Il mercato, al contrario, a parte qualche eccezione, è lanciato verso il digitale. Ed anche sulle riviste specializzate compaiono sempre più spesso foto naturalistiche, o di reportage, scattate con questa tecnologia, vuoi per pubblicizzare quella data fotocamera, vuoi per presentare nuovi articoli. Il mio “timore” è, quindi, che con l’abbassarsi dei prezzi in rapporto al numero dei pixel e con l’aumento delle immagini scattate in digitale stampate sulle riviste ci si abitui, lentamente ma inesorabilmente, così come è accaduto nel mondo dell’alta fedeltà musicale, ad un livello di qualità inferiore. In altre parole il vero rischio non è che vinca il digitale, che vinca se riesce a superare in tutto e per tutto la qualità dell’analogico, ma, cosa grave, che ci abitueremo ad interpretare la natura con i colori che non sono i suoi, quelli digitali appunto, e forse non saremo neanche più in grado di ricordare la naturalezza dei rossi del Kodachrom o le sfumature dei verdi e dei blu della Velvia.

I fotografi amanti della natura non potranno più, se non a costi inaccessibili, riprodurre la natura nella sua reale ed emozionante bellezza; i fruitori della fotografia, nel contempo, si adageranno ad una rappresentazione della natura che altro non è che un surrogato digitale della realtà. Certo lo scenario così ipotizzato non è tra i migliori, quindi voglio concludere questa riflessione con delle piccole osservazioni, che poi sono delle proposte, che forse potrebbero indirizzare “quel futuro”, di cui parlavo all’inizio, verso un’altra via possibile e più ottimistica.

Per non arrivare a tutto questo sarebbero sufficienti poche e semplici cose:

 1) che i ricercatori che lavorano nel campo del digitale volgano il loro interesse, sollecitati ovviamente dalle case produttrici, non solo al continuo aumento del numero dei pixel per unità di superficie, ma soprattutto al miglioramento della qualità intrinseca degli stessi, in modo da riprodurre il più fedelmente possibile le infinite sfumature della natura, così come oggi è in grado di fare solo la pellicola;

2) che l’editoria, a qualunque livello, divulghi notizie con professionalità ed obiettività;

3) che i consumatori non si facciano abbindolare da prodotti buoni ma non all’altezza;

4) che i fotografi non seguano le mode dell’ultimo momento, ma perseguano solo ed esclusivamente il raggiungimento di risultati di qualità. Il mercato, con queste sollecitazioni, farà di conseguenza la sua parte!

Solo così digitale e analogico riusciranno a convivere pacificamente e daranno il massimo nei generi fotografici a loro più congeniali, finché alla fine, se proprio dovrà accadere, uno prevarrà sull’altro, ma in questo caso la vittoria sarà dettata solo ed esclusivamente dalla qualità e da niente altro. Un sogno?

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